Il grande gioco del Sahel by Marco Aime & Andrea De Georgio

Il grande gioco del Sahel by Marco Aime & Andrea De Georgio

autore:Marco Aime & Andrea De Georgio [Aime, Marco & Georgio, Andrea De]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2021-07-19T21:00:00+00:00


Crisi del sufismo

In Mali il malikismo, in generale, e nello specifico le confraternite sufi vivono una profonda crisi d’identità e di consensi. Seppur continui a riscuotere la preferenza della maggioranza della Umma islamica maliana, il sufismo caratteristico del Sahel centrale, diversamente dal contesto senegalese, ivoriano o mauritano, è tradizionalmente riluttante, se non apertamente contrario alla partecipazione politica, diretta o indiretta che sia. Questo negli anni gli ha fatto perdere sempre più terreno rispetto all’islam tradizionale africano, storicamente più allineato al potere, all’interno dell’Alto Consiglio Islamico, così come in altre istituzioni e associazioni musulmane nazionali. Faticando a stare al passo coi tempi, i leader spirituali sufi saheliani si dimostrano così scollegati dalla società reale, cedendo terreno, soprattutto nel cuore dei giovani – che sono invece sempre più urbanizzati, moderni e politicizzati – a correnti rigoriste percepite come maggiormente dissidenti nei confronti del «neoimperialismo» e del «neocolonialismo» contemporaneo. Capita così che a Bobo-Dioulasso, Ouagadougou, Niamey, Bamako o N’Djamena, negli ultimi anni, non sia raro incrociare donne, ragazze o bambine vestite di nero velate dalla testa ai piedi, prima quasi del tutto inesistenti nel paesaggio umano del Sahel.

Tali profonde trasformazioni in atto sono magistralmente spiegate dal professor Bakary Sambe: «Gli Stati africani devono innanzitutto rispondere alla ricerca di senso della loro gioventù. Se schematizzo, l’islam è diventato il nuovo sindacato dei dannati della terra, un vettore di contestazione delle egemonie e delle ingiustizie. Ho parlato con molti leader religiosi per definire le cause della cosiddetta radicalizzazione. Il Gran Muftì della Nigeria mi ha detto che deriva dalla combinazione fra l’arroganza dell’ingiustizia e l’ignoranza di coloro che si sentono vittime. Il salafismo sa costruire un senso, perciò l’islam africano tradizionale deve anch’esso utilizzare i canali della comunicazione moderna». In un’intervista rilasciata nel 2016 al magazine «Jeune Afrique», questo esperto di studi arabo-islamici, militantismo islamico e reti transnazionali nel Sahel sottolinea le radici sociali del neojihadismo subsahariano in tutte le sue diverse sfaccettature: «Il giovane di Boko Haram di Maiduguri è nella logica del rifiuto dello stato, lo shebab somalo in una logica di sopravvivenza economica, il peul di Macina in una ricerca di protezione e sicurezza e il giovane medico senegalese che parte per la Libia è in una logica di protesta, di ricerca di senso. Tutto dipende dal contesto e dalle traiettorie».

Secondo un recente studio condotto dal professor Sambe – che dal 1998 contesta fermamente la distinzione fra «islam nero» e «islam maghrebino» – il 45% dei giovani interrogati nelle periferie di Dakar indica nella «povertà» la principale spinta verso l’estremismo, mentre solo il 19% evoca ragioni religiose. Da qui la sua caustica e sacrosanta conclusione: «Non si è mai sconfitto un’ideologia con un codice penale o un kalashnikov».9

Nonostante il titanico dispiegamento di forze straniere e locali, insomma, la guerra al radicalismo violento nel Sahel non potrà essere vinta mantenendo un mero approccio securitario. Lo sa bene ad esempio il Marocco che, dall’inizio del conflitto maliano nel 2012, ha già formato oltre un migliaio di imam maliani, presentandosi (in visione antialgerina) come difensore del malikismo saheliano contro l’estremismo dilagante.



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